04-10-2022
Nostalgia, di Mario Martone
cinema e psicologia
Nostalgia

Adattamento cinematografico dell`omonimo romanzo del 2016 di Ermanno Rea e con protagonista Pierfrancesco Favino, è stato presentato in concorso al Festival di Cannes 2022. Il 26 settembre 2022, il film viene selezionato per rappresentare l`Italia ai Premi Oscar 2023 nella sezione del miglior film internazionale.

Una riflessione psicologica sul sentimento di esclusione, sul bisogno di appartenenza e sul viaggio all`interno di se stessi prima di affrontare i dolori

Favino è un profugo egiziano che torna nella sua città d`origine Napoli, da cui fuggì in seguito ad un trauma subìto in adolescenza.
Spesso le vittime di un trauma possono considerarsi diverse dalle altre, possono sentire di non avere niente da condividere con la maggior parte delle aggregazioni sociali, di essere escluse e tagliate fuori e potrebbero avere la sensazione di guardare il mondo dall`esterno.

Il film di Martone dà molto spazio a quest`ultima sensazione: Favino inizia il suo ritorno alle origini proprio guardando, dall`alto della terrazza del suo albergo, la sua Napoli per poi addentrarsi sempre più in profondità, scendendo vari livelli.

Il primo livello di profondità che tocca, poco sotto la superficie è il rapporto con la madre anziana: assistiamo ad una scena di un`incredibile tenerezza, in cui Favino esegue un bagno alla madre ma si percepisce bene quanto questo gesto sia un suo bisogno personale di ri-contatto con la sua infanzia forse è in quel momento che prende coscienza del suo sentimento di esclusione o per lo meno di quanto fosse sempre stato così ingombrante

Questa consapevolezza è una tappa fondamentale che precede i suoi flashback.

Infatti comincia la discesa al secondo livello di profondità, i ricordi.

Questa è una parte di film molto carica di sovrapposizioni temporali, tra la vecchia Napoli dei ricordi di Savino (ben sceneggiati da una inquadratura da vecchia pellicola) e la città contemporanea che, ad uno sguardo fugace, non sembra così diversa, è il regista a modificare i colori, il freddo attuale in contrasto con il calore del ricordo.

Sa di essere appartenuto a quel contesto, lo ricorda, lo evoca, lo rimpiange e cerca di riviverlo attraverso le emozioni della moto che acquista.

Il terzo livello di profondità è raggiunto quando incontra la gente del posto, anche visivamente siamo passati dal lusso alla povertà almeno in termini economici, ma Martone invece sembra spingere lo spettatore a sentire la ricchezza della strada come famiglia allargata, elemento che nella vita egiziana di Favino è mancato, e lo deduciamo dal fatto che unici accenni di 40 vissuti al Cairo sono i contatti con la moglie, per quanto teneri e amorevoli e la sua ricca attività di imprenditore.

La strada e il contatto con un padre spirituale (interessante la dicotomia tra cattolicesimo e islam, appena accennata nello scambio di sguardi di fronte ad un bicchiere di vino bevuto sovrappensiero) catapultano definitivamente Favino nella nostalgia, la vera comprensione che solo lì dove è nato può essere se stesso davvero: trovo geniale lo sciogliersi del parlato, inizialmente Favino parla arabo in aereo, poi un italiano molto forzato alla fine completamente in dialetto napoletano, quando forse ha ritrovato il su se stesso lasciato lì 40 anni prima.

Chiunque sia cresciuto sentendosi diverso dagli altri, potrebbe aver uno schema di esclusione sociale e solitamente si tiene al margine del gruppo a cui appartiene, oppure non entra a far parte di nessuna aggregazione sociale, pertanto la scena dell`oratorio oltre ad essere un ponte tra due culture che si mescolano armonicamente, è la prova definitiva di essersi ritrovato come uomo e di poter affrontare il suo trauma del passato, l`incontro con l`amico d`infanzia ora boss di quartiere.

È straordinario il viaggio interiore che ci fa fare Martone, come affrontare i nostri dolori se non ci ricongiungiamo col naturale bisogno di sapere da dove veniamo, a chi apparteniamo?

Non è molto dissimile da ciò che accade in terapia: il paziente accede al nostro studio perso, disorientato, arrabbiato, arroccato dapprima si concentra sul rapporto con il terapista: porta il suo sentirsi solo, non capito, cerca con gran cura di poter appartenere a quella diade, non a tutti è concesso una ritorno alle vere origini purtroppo.
e quando sente che il rapporto terapeutico è diventato come la sua tana, da lì parte l`esplorazione, lo scendere in profondità per affrontare i suoi traumi.